Sintesi e simultaneità

Liberamente ispirato alle avanguardie futuriste
Regia e progetto scenico: Franco Brambilla
Drammaturgia: Roberto Tessari

Con:
Silvano Piccardi
Laura Cadelo
e con:
Luigi Coppola, Arturo Di Tullio, Alessandra Lappano, Antonello Ligia, Stefania Luberti, Cristina Menzio, Alberto Micelotta, Roberto Scapin, Ambra Senatore
Realizzazione scene: Antonella Iorio
Luci:Pier Luigi Calzolari
Fonica: Sado Sabetta
Multivisioni: Mario Ghiretti
Costumi: Sandro Venditti, Sergio Prete
Macchinisti: Francesco Musini, Giovanni Garbo
Una produzione del Centro Regionale Universitario per il teatro di Torino (C.R.U.T.),

Presentazione
Sintesi e Simultaneità non vuole essere uno spettacolo futurista, ne tantomeno una pura operazione filologica, ma piuttosto sottintende una domanda: che cosa nella moderna cultura teatrale è riconducibile all’avanguardia futurista e come i temi in essa dominanti sopravvivono e si integrano nel moderno linguaggio scenico?
Lo spettacolo è il risultato di un progetto che si snoda attraverso il lavoro sull’attore, l’interpretazione dello spazio, il rapporto della tecnologia, il confronto tra oggetto e attore, attraverso cioè tutti quegli elementi che, da un lato assicurano una autonoma reinterpretazione del teatro futurista, dall’altro assimilano e fanno propri i contenuti stessi di quell’avanguardia.
In tal senso il lavoro organizza materiali assai diversi tra loro: sintesi teatrali, brani e passi di manifesti, semplici suggestioni dalle composizioni pittoriche e / o scultoree di quell’epoca, ponendo particolare attenzione non tanto a far emergere il riferimento di partenza, sia esso drammaturgico, poetico o visivo, quanto l’elaborazione che a partire da quei materiali si può oggi coerentemente compiere in un ottica tesa ad individuare le linee e i temi che dalla tradizione culturale di Boccioni, Balla, Marinetti, Prampolini, attraverso le avanguardie negli anni 50/60, giungono fino a noi.
L’attenzione, quindi, dal punto di vista registico è stata quella di far emergere dei “segni” riconducibili alla nostra sensibilità estetico-culturale: dalla frantumazione del gesto, all’azione colta dalla vita quotidiana, dall’abbandono della psicologia del personaggio, al condizionamento dello spazio, dal rapporto vincolante con l’oggetto al ritmo dell’azione e dei dialoghi, abbandonando la strada univoca della “provocazione provocatoria” che può ricondurci dal teatro futurista al moderno Happening, per individuare invece nella complessità dei temi, delle tecniche e delle dichiarazioni di intenti degli stessi protagonisti dell’avanguardia, un ambito di riferimento più ampio e assai vicino alla nostra attuale percezione del mondo. Simultaneità, sinteticità, meccanicità, sovrapposizione, intersezione di piani e narrazioni, sorpresa, istintualità, antipsicologismo, velocità, tali le suggestioni attinte alla tradizione futurista che fanno scaturire sulla scena immagini, parole, suoni, luci, azioni, movimenti ricomposti in segno, gesto, sintesi visiva grazie ad un processo di dilatazione spontanea di questi stessi materiali espressivi. Attraverso un costante e reciproco travaso il corpo diventa immagine, l’immagine suono, il suono relazione, la relazione oggetto, l’oggetto ritmo, il ritmo corpo, quando ad esempio luci colori, forme, si animano e prendono vita, divengono a tutti gli effetti personaggi sommandosi con pari dignità al peso dei personaggi attori in una compenetrazione e contaminazione delle arti che già Prampolini proponeva con forza “Dalla pittura scenosintesi, alla plastica scenoplastica; da questa architettura dei piani plastici in movimento, scenodinamica. Dal palcoscenico tradizionale a tre dimensioni alla creazione dello spazio scenico polidimensionale; dall’attore umano alla nuova individualità scenica dell’attore-spazio; da questo al teatro poliespressivo futurista…”.

Il ritorno del teatro futurista
Di Ugo Ronfani
Le avanguardie artistiche hanno esistenze impetuose; e decessi senza preavviso. Ma possono anche comportarsi come fiumi carsici, che spariscono per riemergere a distanza: e così è stato per il futurismo. Attivo dal primissimo Novecento, vitale al principio degli anni Venti e poi confluito nell’avanguardia del Ventennio non senza contaminazioni con un genere basso come il varietà, diaspore individuali e tentazioni autocelebrative; dopo il ’45 ridotto ad essere un fantasma letterario presente soltanto nella memoria di qualche studioso, il movimento di F. T. Marinetti è oggi al centro di un revival che, dalle Alpi alla Sicilia, si manifesta con mostre, convegni, spettacoli. Fin troppo ovvio spiegare questo ritorno di interesse con le ragioni di una curiosità critica di fine secolo, una volta prese le distanze con le motivazioni ideologiche e politiche cui s’era appoggiato, ma anche, con la rimozione totale, e approssimativa, dell’avanguardia futurista nella memoria della cultura antifascista.
Oggi siamo, di tutta evidenza, nel post-ideologico e la cultura non ama più le categorie manichee: ecco così riapparire, senza più enfatizzazioni o remore, questa voglia di rivisitare il Futurismo, più da parte dei giovani, probabilmente, che da parte di anziani nostalgici.
Lo spettacolo Sintesi e simultaneità prodotto dal C.R.U.T. per il Teatro di Torino e da La Corte Ospitale di Rubiera, su un ordito drammaturgico di Roberto Tessari e per la regia di Franco Brambilla, rientra in questa funzione di recupero che è anche di classificazione storico-critica; non è dunque operazione artificiosa o gratuita e tende a capire e a far capire, nella fattispecie, qual è stato il contributo, davvero non indifferente, del Futurismo nello svecchiamento della società teatrale, mattatoriale e capocomicale, ereditata dall’Ottocento. Costruito assemblando i materiali di un movimento che si voleva multicodice, e fondeva nella dinamica teatrale le arti prima separate, costruito impiegando simultaneamente le risorse gestuali, mimiche e vocali dell’attore, attento a congiungere la sintassi scenica enunciata nei manifesti marinettiani con i successivi apporti delle altre avanguardie, lo spettacolo ha il pregio di non indulgere in nostalgie commemorative, di esporre senza pedanterie una somma di citazioni e così proporre, alla fine, una sorta di lingua totale del teatro vicina allo spirito percettivo del pubblico d’oggi. Davanti alle icone di Duchamp e Manray, di Prampolini e Boccioni, integrando le suggestioni visuali con quelle sonore cercate nella suntuosità di Stravinskij, nelle sequenze matematiche di Wim Mertens o nell’intreccio di rumori di macchine e ritmi di tam-tam, l’antologia futurista che ci viene proposta non si limita ad introdurci nel Museo delle Cere di un primo Novecento, ma si inserisce nella cultura e nel costume teatrali di questa fine secolo con materiali della memoria che riescono ancora a sorprenderci e a coinvolgerci. Ne deriva la convincente dimostrazione che le intuizioni espressive del futurismo, le ragioni della sua rivolta contro il vecchiume accademico e le sue invenzioni anche tecniche hanno avuto sviluppi fino a ieri insospettati nelle posteriori avanguardie, dal teatro dell’assurdo all’happening alla Pop Art, e applicazioni vivificanti nel cinema, nell’editoria, nella pubblicità. Ci si congeda dallo spettacolo avendo arricchito il nostro “inconscio culturale” con schegge di memoria davvero illuminanti: quale miglio modo per rendersi conto che, nel Futurismo, c’è una parte che non è lingua morta?

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