L’inferno musicale

Ideazione e regia Franco Brambilla
drammaturgia Roberto Tessari

l’inferno musicale

Lo spettacolo per immagini e icone meccaniche che qui proponiamo si compone di quattro movimenti, scanditi da una tessitura musicale che sottolinea i tempi narrativi e i ritmi drammatici: Entrata nell’inferno, Sogno, L’inferno musicale. Qui e ora. Sul movimento vorticoso di una danza di “cinque angeli neri” si apre la bocca dell’inferno su cui si proiettano con moto a spirale parole e frammenti da “I canti di Maldoror”. All’apice della danza, il vortice creato dalle parole luminose, risucchia idealmente nel fondo del tunnel di spettatori che accedono alla dimensione di “sogno” della seconda scena, sospesa, tra immagini trasfigurate del reale e visioni oniriche.
L’inferno emerge con maggior completezza nel terzo movimento ove i rimandi all’ iconografia boschiana si precisano nelle macchine che reinterpretano alcune delle raffigurazioni del quadro: gli strumenti musicali, l’uomo radice, il grande orecchio, Moloch, cui si affiancano le azioni del gruppo di attori-danzatori. Richiami sonori e visivi che rimandano alla dimensione terrena, interrompono bruscamente la visione ributtando lo spettatore dell’inferno del presente reale richiamandolo alla consapevolezza dell’Hic et Nunc.
Il lavoro sottintende un’ipotesi registica che, nel trasporre scenicamente la tavola del trittico di H. Bosch, non mira a tradurre più o meno fedelmente sulla scena, tra voci sonore e immagini animate, il silenzioso universo Boschiano, ma si volge piuttosto quest’ultimo come ad un ideale pre-testo cui riferirsi per fondere gli eventi dell’azione scenica nella dimensione onirica rafforzata dalla scena drammaturgica che attinge a Lautréamont.
Lo sviluppo dei quattro movimenti infatti avviene lungo un percorso “atemporale”, ma spazialmente definito improvvisa illuminazione delle azioni, alle apparizioni repentine, dalle scene simultanee in equilibrio tra il reale incerto di un “Mundus imaginalis”, fatto di macchine infernali frenetici girotondi delle dannate schiere, corpi trasfigurati e le concrete presenze evocate nell’ultima scena.
Tale sorta di “visioni” che dilatano in uno spazio “mentale” lo spazio del “reale” in cui lo spettatore è guidato a muoversi, consentono di ricreare nello spettacolo quello stesso spiazzamento che si produce nella contemplazione del dipinto.
Roberto Tessari