Soluzione finale

Tratto da In quelle tenebre di Gitta Sereny
Ideazione e regia: Franco Brambilla

Con:
Roberta Biagiarelli e Filippo Plancher
Luci: Giuliano Viani
Produzione: SS9teatro

La prima volta che incontrai Franz Stangl fu la mattina del venerdì 2 aprile 1971. Era stato condannato il 22 dicembre 1970 dal tribunale di Dusseldorf alla prigione a vita per complicità nell’uccisione di novecentomila persone durante il suo servizio come comandante di Treblinka
Gitta Sereny – In quelle tenebre

Soluzione finale è la messa in scena dell’intervista di Gitta Sereny a Franz Stangl, sovrintendente di polizia dell’istituto di eutanasia dal 1940 al 1942, tratta da In quelle tenebre della stessa autrice. Franz Stangl fu comandante di Treblinka nel 1942-43. Nei mesi di aprile e giugno del 1971 acconsentì a farsi intervistare da Gitta Sereny per conto del Daily Telegraph Magazine nel carcere giudiziario di Dusseldorf dove era in attesa della sentenza di appello contro la condanna all’ergastolo. Sessantatre anni, alto, ben piantato, rilassato e controllato insieme, in prigione da quattro anni, trascorsi per quasi tutto il tempo in isolamento, poiché il Direttore del carcere temeva ritorsioni degli altri prigionieri nei suoi confronti. Era stato arrestato in Brasile dove viveva tranquillamente con la sua famiglia. Il lungo racconto In quelle tenebre raccoglie integralmente l’intervista condotta dalla giornalista di origine viennese all’uomo di cui Simon Wiesenthal, il “cacciatore dei nazisti” diceva: “se non avessi fatto altro nella mia vita che quello di catturare quest’uomo malvagio, non sarei vissuto invano”. Da questa drammatica testimonianza il regista Franco Brambilla ha tratto un dialogo denso e serrato, su una scena volutamente essenziale, che ricostruisce l’intera vicenda di Franz Stangl e dei tragici avvenimenti di cui fu artefice e protagonista, eventi e fatti circostanziati che rivivono nelle domande incalzanti di Gitta Sereny e nelle sue dolenti riflessioni. Ricostruendo uno dei primi episodi di sopraffazione di cui si era reso complice, Stangl si lascia andare ad una passionale esclamazione : “Li odio.. odio i Tedeschi.. Sono loro che mi hanno spinto.. Avrei dovuto suicidarmi nel 1938.. Fu allora che cominciò tutto per me. Devo riconoscere la mia colpa”.
Stangl, giunto al termine dell’intervista in tono pacato aveva affermato: “Per quello che ho fatto la mia coscienza è pulita. (pausa) Io non ho mai fatto del male a nessuno, intenzionalmente. (lunga pausa, si afferra al tavolo con entrambe le mani, poi, secco, rassegnato, stanco) Ma ero lì. E perciò, sì…. in realtà, condivido la colpa… perché la mia colpa… la mia colpa… solo adesso, in queste conversazioni… ora che ho parlato….. ora che per la prima volta ho detto tutto… (pausa, voce atona) la mia colpa è di essere ancora qui. Quella è la mia colpa. Comunque basta così. Porterò a termine questa conversazione con lei e poi… che sia finita. Che sia finita”.
Franz Stangl morì per un attacco di cuore diciannove ore dopo la fine dell’intervista.

Raccontare Treblinka Valeria Ottolenghi
Se questo è uomo: la storia, lentamente e con rinnovato sgomento, svela, nella banalità del male, la possibilità di ascoltare, come appartenente al genere umano, anche chi è stato assiduo, tenace organizzatore di morte, di sconfinata sofferenza a lungo nel tempo. E il titolo del libro- testimonianza di Primo Levi acquista nuovo senso: non più per coloro cui è stato brutalmente sottratto tutto, ridotti ad essere creature senza nome, vivi o morti per un sì o per un no pronunciati con indifferenza, ma per i torturatori, i sereni carnefici, gli aguzzini di quella quotidianità infernale. Franz Stangl, comandante di Treblinka nel 1942/43: è questo un uomo? Accolto, fatto proprio l’ingranaggio del campo di concentramento, tutto doveva semplicemente funzionare bene. E questo ragionare, senza mai squarci di vero rimorso, produce una sorta d’incanto, di allucinato silenzio all’ascolto, pensieri chiari, qualche pausa, il tentativo di scindere la propria responsabilità – la zona di libera scelta, spazi pressoché nulli secondo le parole di Stangl che, prima dell’incarico a Treblinka, era stato sovrintendente di polizia presso l’istituto di eutanasia – da quella esterna, di altri, più in alto, una volontà indefinita, superiore, indiscutibile, assoluta. In occasione della Giornata della Memoria, nell’ambito del ciclo «Letture apocalittiche», una densa ricerca interdisciplinare di più anni, la Corte Ospitale ha realizzato, con la propria compagnia Locus Solus, un evento teatrale breve ma di straordinaria efficacia, regia di Franco Brambilla, Soluzione finale, tratto da In quelle tenebre, il libro che raccoglie la lunga intervista di Gitta Sereny a Franz Stangl, interpreti, al Teatro Herberia di Rubiera, Roberta Biagiarelli e Filippo Plancher.
L’attrice è in completo severo, ferma, in vigile ascolto: l’espressione del volto ha dei movimenti brevi, lo stupore, il turbamento devono svanire presto. Lei deve controllarsi, fare le domande giuste, far parlare quell’uomo oltre ogni emozione personale. Lui è seduto, ma a tratti si alza in piedi, un’inquietudine che però non trapela dal tono di voce. Lungo l’esercizio all’autocontrollo, tanti anni sono passati da allora. C’era poi stato il tempo trascorso in prigione, in quasi completo isolamento. L’intervistatrice e Stangl non si guardano: lei è rivolta al pubblico, lui ha lo sguardo perso, assente, chiuso in se stesso.
Musica di Bach. Sullo sfondo appaiono alcuni disegni dei bambini di Terezin, primo tra questi lo stilizzato gatto nero ripreso nel materiale di sala. Stangl viveva tranquillamente in Brasile con la sua famiglia. L’anno dell’intervista, che si è svolta tra i mesi di aprile e giugno, è il 1971. Stangl si trova nel carcere giudiziario di Düsseldorf dove era in attesa della sentenza d’appello contro la condanna all’ergastolo. Ha sessantatre anni: è in prigione da quattro anni, catturato da Simon Wiesenthal. La motivazione della condanna: complicità nell’uccisione di novecentomila persone durante il suo servizio come comandante di Treblinka. Le domande sono mirate, arrivando la Sereny a chiedere come fosse possibile per lui non accostare mentalmente, psicologicamente, i bambini che faceva uccidere con i suoi figli che rincontrava con gioia: non erano così simili, ugualmente bisognosi di protezione? «Per quel che ho fatto la mia coscienza è pulita. Io non ho mai fatto del male a nessuno, intenzionalmente. Ma ero lì. E perciò, sì in realtà condivido la colpa». Un evento essenziale, limpido, dolente, con una calda, stordita partecipazione del pubblico.
GAZZETTA DI PARMA, 1 febbraio 2003
– Prime Teatro –

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