Apocalisse infinita
Ideazione e regia: Franco Brambilla
testi di Nanni Balestrini
con: Roberto Andrioli, Roberta Biagiarelli, Tony Contartese, Yong-Min Cho, Alexsandro Guerra, Modou Gueye, Sandhya Nagaraya, Filippo Plancher, Rufin Doh Zeyenouin
Produzione: La Corte Ospitale
Premessa
Lo spettacolo Apocalisse infinita fonda le proprie radici nell’interpretazione degli spazi architettonici, dei luoghi e dei contenitori dismessi ed in forte degrado, essi stessi sostegno di un suggestivo impianto visivo, portatori e creatori di immagini che significano, che parlano, che definiscono il senso corale e coreografico in un rapporto stretto con il territorio, in un intervento teatrale che ingloba la realtà urbana interpretandola visivamente e attribuendole senso e significati inediti per la costruzione di un nuovo immaginario collettivo.
Fonte di ispirazione per l’impianto drammaturgico è la tragedia greca, perfetto corrispondente di alcuni temi topici e modelli comunicativi che il lavoro intende evidenziare: “ La tragedia- sostiene Aristotele- è sostanzialmente qualcosa da rappresentarsi”, dove il darsi dello spettacolo non era disgiunto dal confronto e dal condizionamento di alcuni aspetti pratici: la durata dell’azione commisurata a quella della luce naturale, il rapporto col pubblico, il tempo delle attese e degli spostamenti. Anche nella nostra proposta (come già nell’esperienza di SS9 Ulysses on the road) il viaggio, il luogo di raccolta del pubblico, i suoi spostamenti appartengono all’opera, ne sono parte integrante, sostenuti ed amplificati da alcuni concetti cardine derivati dalle Avanguardie Storiche ancora carichi di senso per l’interpretazione del tessuto urbano contemporaneo: dinamicità, sincronismo e simultaneità di azioni, dei piani visivi, degli eventi.
Ma la tragedia greca rappresentava anche un’occasione rilevante di esperienza politica, un momento di partecipazione alla vita collettiva, l’identificazione dell’immaginario individuale con quello collettivo della polis. Lo spettacolo non costituiva il fine, quanto il mezzo, era rito, assemblea, gara.
E così immaginiamo che la trilogia Apocalisse/ Rivelazione possa divenire un’esperienza che si impone al pensiero come un monumento o come l’architettura che abbraccia altre forme di rappresentazione, si nutre dello spazio che introietta, fornendo in ultima istanza la sede ideale della rappresentazione della poesia, della musica, della danza, del teatro in quanto costituisce l’insieme delle arti, ed impone il proprio peculiare punto di vista; questo punto di vista è quello dell’arte dello spazio che contemporaneamente è arte che da forma allo spazio, ed arte che fa posto. Un monumento appunto che “attrae su di sé l’attenzione dell’osservatore, e d’altra parte lo rimanda anche al di là di se stessa, verso quel più vasto contesto che lo accompagna” che aumenta lo stato dell’essere: l’opera d’arte appunto.
Raffiguriamo lo spettacolo come un monumento, non come sopravvivenza del ricordo, ma come continuità delle forme che lo hanno generato (perdendo relazione con ciò che lo ha generato il monumento perde significato). Il monumento è fatto per durare non come rimembranza ma perché rinnova il suo significato. Poco importano i materiali di cui esso è costituito, importa l’operazione di monumentalizzazione, di istituzionalizzazione, sia essa un’opera poetica o un’opera teatrale; la durata è restituita esclusivamente dalla qualità del residuo, deperibile (come ogni ricordo) perché fin dall’inizio è fatto della stessa materia esauribile implicita nella sua natura: il monumento è fatto per durare: il teatro è l’esperienza in un’esperienza, è luogo interpretato in luoghi interpretati, è tempo in un tempo, è monumento di suoni, azioni, forme che si danno come una ricomposizione di memorie e di esperienze, fin dall’inizio progettato e costruito nella forma di ciò che non vive più, non per la sua resistenza ma per la sua deperibilità.
“ …Il monumento è piuttosto ciò che dura nella forma, già progettata come tale, della maschera funebre. Il monumento non è il calco di una vita piena, bensì la formula, che si costituisce già per trasmettersi, dunque già segnata dal suo destino di alienazione radicale: segnata, in definitiva, dalla mortalità. Il monumento-formula è costruito non per sfidare il tempo, imponendosi contro e nonostante il tempo, ma per durare nel tempo” (G.Vattimo)
Lo spettacolo-monumento si pone come strumento di condivisione e di esperienza a partire degli spazi cittadini in preda al degrado, o che sorgono dalla riqualificazione, dal recupero a nuove funzioni sociali ed aggregative dei contenitori industriali dismessi, dalla riprogettazione delle periferie urbane anonime e compromesse. Si insedia come un monumento capace di rappresentare di esporre il proprio pensiero, non una memoria che riflette un passato ma uno specchio di una realtà in continua evoluzione che assume valori con lo stratificarsi della nostra esperienza.
Lo spettacolo Apocalisse infinita fonda le proprie radici nell’interpretazione degli spazi architettonici, dei luoghi e dei contenitori dismessi ed in forte degrado, essi stessi sostegno di un suggestivo impianto visivo, portatori e creatori di immagini che significano, che parlano, che definiscono il senso corale e coreografico in un rapporto stretto con il territorio, in un intervento teatrale che ingloba la realtà urbana interpretandola visivamente e attribuendole senso e significati inediti per la costruzione di un nuovo immaginario collettivo.
Fonte di ispirazione per l’impianto drammaturgico è la tragedia greca, perfetto corrispondente di alcuni temi topici e modelli comunicativi che il lavoro intende evidenziare: “ La tragedia- sostiene Aristotele- è sostanzialmente qualcosa da rappresentarsi”, dove il darsi dello spettacolo non era disgiunto dal confronto e dal condizionamento di alcuni aspetti pratici: la durata dell’azione commisurata a quella della luce naturale, il rapporto col pubblico, il tempo delle attese e degli spostamenti. Anche nella nostra proposta (come già nell’esperienza di SS9 Ulysses on the road) il viaggio, il luogo di raccolta del pubblico, i suoi spostamenti appartengono all’opera, ne sono parte integrante, sostenuti ed amplificati da alcuni concetti cardine derivati dalle Avanguardie Storiche ancora carichi di senso per l’interpretazione del tessuto urbano contemporaneo: dinamicità, sincronismo e simultaneità di azioni, dei piani visivi, degli eventi.
Ma la tragedia greca rappresentava anche un’occasione rilevante di esperienza politica, un momento di partecipazione alla vita collettiva, l’identificazione dell’immaginario individuale con quello collettivo della polis. Lo spettacolo non costituiva il fine, quanto il mezzo, era rito, assemblea, gara.
E così immaginiamo che la trilogia Apocalisse/ Rivelazione possa divenire un’esperienza che si impone al pensiero come un monumento o come l’architettura che abbraccia altre forme di rappresentazione, si nutre dello spazio che introietta, fornendo in ultima istanza la sede ideale della rappresentazione della poesia, della musica, della danza, del teatro in quanto costituisce l’insieme delle arti, ed impone il proprio peculiare punto di vista; questo punto di vista è quello dell’arte dello spazio che contemporaneamente è arte che da forma allo spazio, ed arte che fa posto. Un monumento appunto che “attrae su di sé l’attenzione dell’osservatore, e d’altra parte lo rimanda anche al di là di se stessa, verso quel più vasto contesto che lo accompagna” che aumenta lo stato dell’essere: l’opera d’arte appunto.
Raffiguriamo lo spettacolo come un monumento, non come sopravvivenza del ricordo, ma come continuità delle forme che lo hanno generato (perdendo relazione con ciò che lo ha generato il monumento perde significato). Il monumento è fatto per durare non come rimembranza ma perché rinnova il suo significato. Poco importano i materiali di cui esso è costituito, importa l’operazione di monumentalizzazione, di istituzionalizzazione, sia essa un’opera poetica o un’opera teatrale; la durata è restituita esclusivamente dalla qualità del residuo, deperibile (come ogni ricordo) perché fin dall’inizio è fatto della stessa materia esauribile implicita nella sua natura: il monumento è fatto per durare: il teatro è l’esperienza in un’esperienza, è luogo interpretato in luoghi interpretati, è tempo in un tempo, è monumento di suoni, azioni, forme che si danno come una ricomposizione di memorie e di esperienze, fin dall’inizio progettato e costruito nella forma di ciò che non vive più, non per la sua resistenza ma per la sua deperibilità.
“ …Il monumento è piuttosto ciò che dura nella forma, già progettata come tale, della maschera funebre. Il monumento non è il calco di una vita piena, bensì la formula, che si costituisce già per trasmettersi, dunque già segnata dal suo destino di alienazione radicale: segnata, in definitiva, dalla mortalità. Il monumento-formula è costruito non per sfidare il tempo, imponendosi contro e nonostante il tempo, ma per durare nel tempo” (G.Vattimo)
Lo spettacolo-monumento si pone come strumento di condivisione e di esperienza a partire degli spazi cittadini in preda al degrado, o che sorgono dalla riqualificazione, dal recupero a nuove funzioni sociali ed aggregative dei contenitori industriali dismessi, dalla riprogettazione delle periferie urbane anonime e compromesse. Si insedia come un monumento capace di rappresentare di esporre il proprio pensiero, non una memoria che riflette un passato ma uno specchio di una realtà in continua evoluzione che assume valori con lo stratificarsi della nostra esperienza.
La lettura che si propone dell’Apocalisse tende ad interrogare il mondo contemporaneo: le sue immagini, le sue manifestazioni, le sue forme estetiche, in relazione a quello che abbiamo definito un paradigma culturale. Ma se è vero che il domandare presuppone una capacità di comprendere il detto come risposta, che chi vuol comprendere …deve far risalire col domandare, al di la di ciò che è detto, deve …comprendere il detto come risposta in base alla domanda di cui rappresenta la risposta… in questo risalire a ciò che sta dietro il detto è però implicito un domandare al di là di esso…si comprende un testo nel suo senso solo in quanto si raggiunge l’orizzonte della domanda, orizzonte che, come tale, contiene necessariamente anche altre possibili risposte, allora il testo dell’Apocalisse giovanneo assume il carattere di risposta, è proprio il mondo nel suo manifestarsi l’al di la di ciò che è detto che diviene l’orizzonte di conoscenza che contiene molte possibili risposte.
Diviene chiaro allora che ciò che ci si propone con questo lavoro è di agire sul linguaggio. Due i presupposti da cui prendere le mosse: l’uno è la profonda convinzione che il linguaggio sia una delle cose più oscure del pensiero, che esso sia così straordinariamente contiguo al pensiero ma nel contempo così poco oggettivabile, pur essendo l’opus dell’uomo forse più vicino all’essenza dell’essere, che esso implichi una sorta di continuo azzeramento di preconcetti, il che ci pone di fronte alla necessità di una sorta di continuo rinnovamento del progetto, in quanto è il linguaggio che rinnova il nostro pensiero; l’altro presupposto è il concetto di realtà immanente all’opera d’arte, che introduce nella scena di queste brevi riflessioni il discorso sull’immagine e sull’artista.
La “realtà” sta sempre in un orizzonte aperto sul futuro di possibilità desiderate o temute, ma comunque non ancora decise. E’ quindi costituita in modo che vengano risvegliate continuamente delle aspettative che si escludono l’un l’altra, e che non tutte possano adempiersi. E’ proprio l’indeterminatezza del futuro quella che permette questa sovrabbondanza di aspettative, in modo che la realtà resta sempre necessariamente al di sotto di esse. Quando però, in particolari casi, riesce a costituirsi nella realtà un insieme significativo tale che questo usuale finire nel vuoto di certe possibilità per un momento scompare, allora una tale realtà è essa stessa come uno spettacolo. Seguendo questo pensiero illuminante di Gadamer, quando qualcuno è in grado (come possono gli artisti) di avere un grande sguardo sulla realtà, di cogliere l’insieme di significati in una sorta di coesione dove tutto giunge a compimento, allora possiamo parlare di opera d’arte, ove l’immagine produce la rappresentazione della vita stessa.
La natura dell’arte contemporanea consiste nella trasfigurazione della realtà – la sua riproduzione in un immagine- attraverso la messa in opera del meccanismo del gioco. Se il gioco diviene mezzo per giungere alla liberazione e al compimento di se stesso, (il gioco come danza è la rappresentazione del divino) allora la realtà dell’opera d’arte, di cui il gioco è modello, si rivela come un mondo radicalmente trasfigurato di fronte al quale non possiamo far altro che riconoscere e riconoscerci.
Abbiamo iniziato in queste brevi note coll’interrogarci sul valore della domanda, sul fatto che essa implica il grado di comprensione dell’interprete, definito come l’orizzonte della domanda. Applicando questo stesso concetto all’Apocalisse, abbiamo individuato due caratteristiche: l’una la capacità visionaria implicita nel testo, in grado di interrogare il nostro mondo con le sue immagini e le metafore che si ridefiniscono via via con il procedere della cultura, in una sorta di perenne rinnovamento ove le nostre immagini vengono chiamate continuamente in gioco; l’altra è la risposta che noi diamo, essa continua a procedere oltre se stessa, rapportandoci così a diversi livelli di realtà: noi interroghiamo il testo, il testo interroga il mondo, noi leggiamo nell’interrogazione il mondo interrogato. Quando ritorniamo al nostro mondo, esso ci appare come conseguenza del mondo interrogato. Apocalisse/rivelazione: realtà delle cose che devono ancora accadere, ma la realtà è come un orizzonte di possibilità aperte sul futuro, che si danno come gioco di combinazioni, come domanda alla realtà; questa in sintesi la chiave di interpretazione del lavoro che si propone. E’ evidente che molto ancora ci sarebbe da dire soprattutto rispetto al concetto di immagine, di forma, di spazio, di corpo, che con la nozione di monumento abbiamo introdotto. Scopo di queste note metodologiche era di soffermarmi, non tanto sulla ricerca estetico formale, quanto sul processo di individuazione dei temi che scaturiscono dall’interpretazione dell’Apocalisse e che ne delineano l’orizzonte.