Ideazione e regia: Franco Brambilla
Testi da: Tristan Tzara e Pablo Picasso
Con:
Fabio Brusadin, Barbara Nicoli, Sivia Scotti, Sandhya Nagaraja
Assistente: Alessandra Pavoni
Produzione: Fondazione Mudima Milano e Statale9teatro
Organizzazione: Fadia Bassmaji
Sono ormai trascorsi cento anni dal Dadaismo e ancora ritroviamo tracce e riferimenti più o meno espliciti in tutta l’arte contemporanea, come se quel movimento incarnasse lo spirito di un intero secolo. Lo spettacolo Da Dada a Dada è ispirato ai testi teatrali “Il cuore a gas” (1921) di Tristan Tzara, uno dei più significativi dell’esperienza dadaista; e “Il desiderio preso per la coda” di Pablo Picasso scritto durante gli anni dell’occupazione nazista di Parigi e per finire “Assemblaggi” un azione di danza dedicata all’opera di Daniel Spoerri. Opere e autori che ancora oggi sono sinonimi di messa in discussione del conformismo, dei luoghi comuni e delle certezze, del tentativo di creare un pensiero critico sulla contemporaneità.
Le tre fonti d’ispirazione dello spettacolo sono assemblate in un unico corpo, senza distinzione in testi o in scene, ma come prologo, nucleo centrale ed epilogo di una stessa creazione autonoma e contemporanea. L’impianto registico interdisciplinare e performativo, consente di procedere trasversalmente tra diversi linguaggi artistici: le scenografie sono sculture in movimento, così come le azioni e le gestualità modulari degli attori divengono icone che vivono in uno spazio condiviso; ecco allora che un luogo non teatrale, come uno spazio espositivo, diviene “palcoscenico” ideale per una sorta d’incontro e di sintesi tra i linguaggi. Protagonisti sono artisti, attori e danzatori impegnati in un lavoro incentrato sui temi classici del Dadaismo: dall’imballaggio al collage, dall’happening, al movimento del corpo e della danza. La nostra messa in scena vuole sottolineare da un lato la carica eversiva e il senso di grande libertà creativa del Dadaismo, dall’altro il confronto con un linguaggio fuori da schemi e convenzioni. Lo spettacolo tuttavia non vuole essere una ricostruzione storica, bensì una corda tesa che dal Dadaismo, attraverso il Surrealismo, ci conduce fino ai giorni nostri.
Il progetto prima ancora di essere spettacolo è una definizione di poetica, che nella mescolanza di generi e di linguaggi, di oggetti e di segni, prova a dimostrare quanto occorra guardare sempre al rinnovamento culturale.
L’occasione del centenario del movimento Dadaista, la preziosa collaborazione della Fondazione Mudima e di Daniel Spoerri, hanno dato l’avvio a questo progetto che individua proprio nell’artista Svizzero un punto di riferimento importante del percorso di lavoro. La nomina di Franco Brambilla come Ministro Atlantico di Patafisica con l’Etoile d’Or de Patafisique nel 2001 è una garanzia…!
Lo Spettacolo
Prima parte – durata 30’
“Il cuore a gas”
di Tristan Tzara
Prologo: imballaggio imballaggio! (Manifesto degli imballaggi di Tadeusz Kantor)
Primo movimento: le mummie dell’avanguardia
Secondo movimento: il ritorno del Dadaismo
Terzo movimento: spazio, corpo, azione
Le scatole ritornano in cantina
“Il cuore a gas” (1921) è il testo più significativo dell’esperienza Dada. Di questo testo hanno scritto che ha “un dialogo senza alcun riferimento con la realtà, totalmente gratuito, basato su ripetizioni esasperate della stessa frase, che sarà poi quello di Ionesco e del Teatro dell’Assurdo”. I personaggi sono ridotti a un corpo, e più precisamente a un corpo mummificato, dove gesti e azioni si combinano anche casualmente, dando vita di volta in volta a combinazioni di senso, agendo come in un vero e proprio collage di segni, immagini, azioni e movimenti. I personaggi: Occhio, Bocca, Orecchio, Naso, Sopracciglio, Collo, vivono in un involucro, e sono essi stessi involucri, imballaggi che nascondono la loro identità, dando origine ad un nuovo significato, diverso da quello originario. Il loro dialogo è sospeso, così come le loro azioni ridotte a frammenti di gestualità. Vivono senza tempo creando immagini e azioni apparentemente casuali.
La messa in scena cristallizza gli attori in una partitura di gesti, parole, e azioni fortemente condizionati dal rapporto con lo spazio, che blocca e impedisce ogni tentativo di fuoriuscita da un sistema rigoroso e codificato che è proprio la forza espressiva del testo; essa di fatto azzera ogni differenza tra i personaggi, e restituisce l’idea stessa di assemblaggio e di negazione dello sviluppo drammatico dell’azione. La nostra messa in scena, come una sorta di poema dadaista, prende le mosse dal “Manifesto degli imballaggi” di Tadeuz Kantor, gioca con l’uso di elementi della vita quotidiana, fino a giungere a complessi assemblaggi, allo scopo di realizzare un nuovo tipo d’immagine, capace di stabilire diverse relazioni percettive tra oggetti comuni e forme quotidiane, che non tendono all’imitazione o alla descrizione, ma anzi creano nuove forme e associazioni.
Tzara mette in scena “la più grande truffa del secolo in tre atti”, come lui stesso sottolinea in una breve nota introduttiva al testo, dove con leggerezza e disincanto mette in discussione l’identità romantico-passionale dell’attore e del teatro.
Seconda parte- durata 32’
“Il desiderio preso per la coda”
di Pablo Picasso
Prima scena: l’attesa del cibo – prepariamo la tavola – la danza tribale
Seconda scena: l’albergo delle sporcizie
Terza scena: la danza macabra
Picasso scrisse “Il desiderio preso per la coda” in soli quattro giorni, dal 14 al 17 gennaio 1941, durante l’occupazione nazista a Parigi; i personaggi sono le cose che ci circondano nella vita quotidiana: Piede grosso, La Cipolla, La Torta, Le Tende, Il Silenzio, L’Angoscia Grassa, e raccontano quanto tutto possa trasformarsi a causa dell’assurdità della guerra. E’ il testo stesso a suggerire l’indicazione con una battuta alla fine della pièce: “Lanciamo con tutte le nostre forze i voli delle colombe contro le pallottole e chiudiamo a doppia mandata le case demolite dalle bombe”.
“Il desiderio preso per la coda” è strutturato in una sequenza di scene senza intreccio, i personaggi vivono in uno spazio ambiguo e mai definito: mangiano, dormono, si lavano in una vasca-cassa da morto, si accoppiano, danzano; e naturalmente dialogano. Anche se solo di tanto in tanto, si può dire che il loro sia un dialogo. I personaggi vivono, attendendo e subendo gli eventi che irrompono dall’esterno. Non hanno un volto ma una nuova pelle, una maschera che esaspera la dimensione onirica e surreale, i loro gesti sono organizzati in un flusso di movimenti e di azioni, tutti legati al tema centrale del desiderio di cibo e della fame.
Sono trascorsi circa settant’anni da quando Picasso scrisse questo testo, e il surrealismo si è spento, ma l’opera di Picasso ci interroga ancora profondamente sulle paure e sulle angosce profonde che derivano dai conflitti, sul rapporto con il mondo esterno, sulla violenza della realtà che irrompe nelle case all’improvviso. Risulta ancora oggi difficile collocarlo nel percorso che il teatro ha seguito in questi ultimi settant’anni, anche pensando al teatro più sperimentale. E’ forse un punto di contatto fra il teatro dell’avanguardia storica e il contemporaneo? Piscator, Kantor e Jan Fabre? O forse possiamo collocarlo in quel filo che transita da Roussel, passando da Jarry e Apollinaire, e che arriva fino alla Neoavanguardia e al Gruppo ‘63? O è un anello di congiunzione tra Ionesco e Beckett? O, al contrario, è semplicemente il prodotto visionario di un artista che sapeva stupire, sia col pennello che con la penna?
Terza parte- durata 13’
Assemblaggi
Azione scenica sull’opera di Daniel Spoerri
Musiche di Scott Johnson
Gli elementi che costituiscono quest’azione di danza sono ispirati all’opera di Daniel Spoerri e alla vita quotidiana, si organizzano in un cocktail di materiali degradati, suoni, azioni, situazioni di una banale convenzionalità, che imprimono all’azione scenica una carica di sbeffeggiamento, di rivolta e di frustrazione. Attraverso la danza, la coreografia esaspera la dimensione del collage, del frammento e della combinatorietà dei segni, dei movimenti e dei gesti, in un gioco anarchico e inafferrabile, fuori da schemi e classificazioni. La coreografia scompone e ricompone situazioni, ambienti astratti, immagini, evidenziando così il carattere illusorio della creazione artistica. Le immagini e le azioni create dalla danza rimandano all’artificiosità della vita: scandiscono una narrazione illusoria, ci riportano di continuo a nuove immagini, come in un gioco di specchi senza nessuna pretesa di organizzarle o catalogarle in un sistema, ma con la sola volontà di trovare delle connessioni, dei frammenti di senso che scaturiscono dal racconto. La coreografia si configura come una partitura di frammenti di suoni e immagini che rompono incessantemente le azioni, scomponendole e ricomponendole di volta in volta in nuove combinazioni di senso. La musica creata da Scott Johnson esaspera il carattere combinatorio, attraverso il collage e il montaggio di materiali sonori convenzionali e degradati, creando un affresco di situazioni e di paesaggi sonori irridenti e provocatori.
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