Ideazione e regia Franco Brambilla
Testi di: Giorgio Manganelli, Alfredo Giuliani, Giordano Falzoni, Enrico Filippini, Michele Perriera
Voci:
Nanni Balestrini, Gino Dimaggio
Con:
Saverio Bari, Luca Cattani, Sara Fenoglio, Barbara Nicoli, Filippo Plancher
Scene: Serena Zuffo
Costumi: Cecilia Di Donato
Disegno luci: Paolo Betta
Contributi video: Mario D’Avino
Organizzazione e ufficio stampa: Centro Teatrale MaMiMò
Produzione: Statale9teatro e Centro Teatrale MaMiMò
Direzione organizzativa: Maurizio Corradini
“In una certa epoca si può, con qualche profitto, variare e arricchire; in altre epoche, quando si avverte l’esaurimento irrimediabile dei correnti modelli linguistici e formali, si è spinti, se vogliamo dallo spirito dei tempi, a ricercare il nuovo, a escogitare inediti modi di raccontare, di fare poesia o teatro”
Nanni Balestrini
Lo spettacolo 63×50 teatro prevede la messa in scena di cinque testi brevi, rappresentati a Palermo nel 1963, scritti da alcuni autori del Gruppo che contribuì a creare il pensiero critico e il rinnovamento culturale di un’intera generazione. Il lavoro è l’esito di un percorso di ricerca avviato con giovani artisti e attori professionisti provenienti da varie esperienze, che nel processo di realizzazione dello spettacolo hanno trovato una preziosa occasione per riflettere sul modo in cui, ancora oggi, sia possibile produrre innovazione. A partire dalle esperienze del Gruppo 63, oggi come allora, la nostra riflessione parte dalla cultura del presente, dalla ricerca di nuovi valori, dalla contaminazione dei linguaggi e delle discipline, per rinnovare la visione della cultura e dell’arte, contemporanea. Nostro scopo è cogliere i molteplici aspetti delle opere teatrali, delle posizioni intellettuali, degli studi linguistici, attraverso il filo conduttore che ci ricollega ai nostri giorni.
A cinquant’anni di distanza ci sembra necessario ripensare alle esperienze dei poeti di quel Movimento che seppe rinnovare il linguaggio dell’arte, della poesia, della letteratura e del teatro. La messa in scena si basa su 5 testi brevi: Povera Juliet di Alfredo Giuliani, Monodialogo di Giorgio Manganelli, Lo scivolo di Michele Perriera, Quartetto su un motivo padovano di Germano Lombardi, Il giuoco con la scimmia di Enrico Filippini, L’occhio di Gerardo Falzoni. Opere teatrali che ben si prestano alla sperimentazione di linguaggio e che ancora oggi continuano a mettere in discussione conformismo, luoghi comuni e certezze. L’impianto registico a episodi ci consente di lavorare sui linguaggi, spaziando dal teatro visivo, a quello di parola, da quello musicale a quello fisico. L’estrema versatilità dei testi prescelti ci ha consentito di creare un grande collage di immagini, suoni, parole e musiche che restituiscono uno spaccato del mondo dell’arte, dimostrando che occorre sempre guardare al rinnovamento culturale.
Monodialogo di Giorgio Manganelli
Affidato unicamente a due voci narranti che escludono ogni tipo di corporalità. Manganelli propone l’eliminazione e il superamento del personaggio; sottraendo ogni volto, ogni fisicità, ogni reazione. Proponendoli come immagini speculari di un discorso a due volti immersi nel buio totale, elimina ogni tentazione di coinvolgimento dello spettatore con il visivo e concentra l’attenzione unicamente sul sonoro. Ciò che caratterizza le due voci è il continuo rincorrersi e spezzarsi, il loro compito è quello di scardinare le convenzioni e le illusioni sconvolgendo il principio stesso della dialettica. La stessa ragione d’essere del testo è il nulla in cui i personaggi esistono e vivono, in cui ascoltiamo la trasparenza del dialogo che, sotto le macerie delle convenzioni e delle illusioni, rimanda a un lucidissimo buon senso.
Serata in famiglia di Giordano Falzoni.
I protagonisti sono ridotti alla sola testa che spunta da un pavimento, due entità senza tempo ne spazio che attendono immortali il trascorrere del tempo. L’autore rivela ancora una volta l’innocenza ribelle e provocatoria nei confronti della tradizione drammaturgica. Mette in scena uno scherzo teatrale, dove con leggerezza e disincanto mette in discussione l’identità romantico-passionale dell’attore. La messa in scena cristallizza gli attori in una partitura di gesti, parole, azioni fortemente condizionata dal rapporto con una video installazione, che blocca e impedisce ogni tentativo di fuoriuscita da un sistema rigoroso e codificato che è in ultima analisi proprio la forza espressiva del lavoro.
L’acqua alle piante di Alfredo Giuliani
Giuliani ha definito i suoi primi testi teatrali “impasti dialogici”, creati con un procedimento poetico attraverso un collage che contempla una proiezione in senso psicanalitico. Gli elementi che costituiscono questa pièce sono attinti dalla vita quotidiana, organizzati in un cocktail di materiali degradati di frasi, situazioni di una banale convenzionalità, che però imprimono al testo una carica di sbeffeggiamento, di rivolta e di frustrazione. La messinscena esaspera la dimensione del collage, del frammento e della combinatorietà dei segni che scompongono e ricompongono situazioni e ambienti astratti. Il testo si confronta con una struttura musicale che rompe continuamente le immagini, scomponendole e ricomponendole in frammenti, e ricreando di volta in volta nuove combinazioni di parole azioni, suoni e immagini.
Lo scivolo di Michele Perriera
La pièce teatrale di Perriera è una visione, un testo scritto senza un solo dialogo, descrive soltanto il movimento e le azioni dei personaggi, nel testo vi sono alcune battute che però divengono didascalie dei movimenti e delle intenzioni degli attori: il risultato produce l’effetto di una tipica rappresentazione teatrale con uno spazio e un tempo teatrale immaginario e trasferibile in una scena. Anzi l’immaginario che scaturisce da questa teatralità è così vivo e potente da imprimere alle azioni una chiarezza e una forza comunicativa straordinaria. Due uomini, un generale e un sottoposto, si affrontano mettendo sempre in primo piano un gioco sottile di potere e di dipendenza reciproca. Ne deriva una partitura di azioni e di relazioni che gli attori fanno esplodere in un gioco scenico esasperante e crudele.
Il giuoco con la scimmia di Enrico Filippini
I materiali a cui attinge l’autore sono relativamente pochi: un’immagine ambigua di una scimmia di un circo, una bambina d’oro fiabesca, alcuni riferimenti alla corrida, frammenti sparsi di favole da Lo spirito nella bottiglia, le stazioni del Rosarium philosophorum analizzato da Jung in “la psicologia del tranfert”. L’azione scenica è prevalentemente visiva, essa ha relegato a un ruolo secondario la parola. Questi materiali sono stati immessi in un teatro grottesco, ironico-parodiaco. L’azione drammatica de Il giuoco con la scimmia è sottratta ai personaggi, che risultano essere più agglomerati di voci e immagini che protagonisti del dramma, essi si muovono all’interno di una struttura circolare che non permette uno sviluppo temporale. Ne risulta un’azione scenica libera e seducente che procede affermandosi e negandosi di continuo senza mai identificarsi con i materiali che hanno originato il lavoro. Le didascalie sono assunte a voce-personaggio con un fine non descrittivo ma intenzionalmente drammatico. Il filo conduttore dell’azione è Alpha che procede attraverso un monologo che sembra accentrare su di se l’azione stessa invece è soltanto la negazione che spezza e ricompone di continuo il filo conduttore. Il gioco scenico segue la dinamica del sogno e del mondo onirico, dove le immagini, le azioni, le parole fluiscono senza soluzione di continuità.
Documenti allegati: